Considerazioni sul libro Via dal Vento di Marco d'Eramo
É il resoconto del viaggio di Marco d'Eramo negli Stati del Deep South, il profondo Sud americano, razzista, segregazionista e, nonostante questo, apparentemente proiettato verso il futuro e il progresso economico, sociale e tecnologico.
Un viaggio verso il profondo, quindi, che non ha nulla di edulcorante o edificante; un viaggio che dalla superficie dell'apparenza cerca di raggiungere la verità del fondo, o parte della verità che origina la realtà.
Nessun vezzo descrittivo. Degli Stati attreversati - South Carolina, Georgia, Tennessee, Alabama, Texas e Florida - non vediamo nulla, se non un'umanità meschina (e non) che arranca in un quotidiano contradditorio, dove neri, ispanici e indiani rimangono ancora minoranze anche laddove rappresentano la maggioranza, dove povertà e ignoranza si infiltrano nell'opulenza ostentata di governatori e uomini di potere, dove domina un'ingenuità a tratti fastidiosa e meschina.
Niente campi di cotone, distese sterminate di erba fresca, allevamenti di bestiame sano e opulento. Ma fabbriche cenciose, catapecchie decadenti, chiese inutili di una religione che rende schiavi senza offrire speranze, periferie dominate da grandi centri commerciali frequentati da grassoni morti di fame.
Un incubo a stelle strisce. Di cui il viaggiatore non intravede la fine e rispetto al quale non prende posizione se non la posizione inequivocabile di colui che registra fatti, sebbene con un occhio pregiudiziale.
Che siano operai, impiegati, giornalisti, uomini d'affare, predicatori, capi di stato..., gli uomini che d'Eramo incontra appaiono sempre e solo come miserabili. Non c'è riscatto per nessuno. Tutti sono al contempo vittime e colpevoli, prede e predatori, guardie e ladri.
Uno squallore diffuso intrappola ogni pagina, ogni riga, parola, pensiero.
Eppure si sviluppa una sorta di fascinazione. O forse curiosità morbosa. Verso questo mondo strappato alle paludi e al Grande Fiume, sonnolento e impigrito sotto ai raggi di un sole malato, nato e distrutto dai sogni. Il sogno di uno la morte dell'altro. Dove c'era l'indiano ora c'è il bianco. E dove c'è il bianco c'è il sogno dell'indiano di riscattarsi. Dove non c'era nulla ora c'è il cubano. Scappato da un sogno che è diventato storia. E dove c'è il cubano, c'è il sogno dell'haitiano, del nicaraguense, del colombiano. E poi ci sono i bianchi. Che hanno imposto il loro sogno ai neri. E i neri che a un certo punto hanno provato a imporre il loro sogno ai bianchi ("I've a dream" nasce ad Atlanta nel 1929 e muore a Memphis nel 1968) rimanendo invischiati nel pantano di una vita che, per lo più, non li ha affatto liberati né resi migliori.
Il resoconto corre via veloce, di città in città, di Stato in Stato. Il tono è neutrale. A tratti ironico. Difficilmente polemico. La polemica non occorre. Parlano i fatti. Sino al capitolo intitolato "Alligatori in orbita". Qui c'è un'inversione. Si percepisce un piccolo dolore. Un rimpianto per qualcosa che poteva essere e non è stata. E non sarà mai. L'ultimo capitolo è lirico e intimista. Doloroso.
"Te ne accorgi nell'unico luogo davvero commovente di Cape Canaveral, e cioè la sala di controllo della missione Apollo. Per tutta la notte del 20 luglio 1969, durante la diretta tv del primo sbarco sulla luna, nessuno della mia generazione riuscì a staccare gli occhi da quella sala che appariva il concentrato di tecnologia ultramoderna, letteralmente fantascientifica. Tornandovi oggi, 35 anni dopo, sei colpito da quanto vecchiotti, trabiccolosi, fossero quegli apparati, con telefoni molto grossi e quadrati, schermi macchinosi, consolles primitive. Come guardare un centralino telefonico degli Anni Quaranta dall'alto dei nostri cellulari. Ti rendi conto che i primi manufatti a mostrare le rughe del tempo sono proprio quelli che nel momento in cui appaiono ti sembrano più futuristici. Vedendo gli schermi spenti di quella sala di controllo, ascolti le voce dei fantasmi di un tempo che gridavano eccitati per l'allunaggio, e ti sembra di assistere all'appassirsi non solo del sogno spaziale, ma anche di quello americano."
VIA DAL VENTO
VIAGGIARE NEL PROFONDO SUD DEGLI STATU UNITI
Di Marco D'Eramo
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